Codice Pronto Soccorso, cosa succede se è errato?

Codice Pronto Soccorso: i tipi di responsabilità se è errato

Codice pronto soccorso errato: vediamo quali risvolti civili e penali possono configurarsi se dall'errore derivano danni ai pazienti.

A chi non è capitato di doversi recare almeno una volta al pronto soccorso … code e attese estenuanti sono la prima cosa a cui si pensa.

Le domande che vogliamo porre qui sono le seguenti: cosa accade se l’infermiere addetto sbaglia, per superficialità, fretta o una qualsiasi altra ragione, nell’attribuzione del codice di pronto soccorso, ossia nella valutazione sulla gravità della situazione del paziente? E se a causa di questo errore il paziente non viene prontamente preso in carico e subisce a causa di ciò una compromissione del suo stato di salute? Il paziente potrà essere risarcito? E l’operatore che ha commesso l’errore potrà essere chiamato a rispondere anche penalmente della propria condotta?

A tutti questi quesiti daremo risposta nella trattazione, di modo che chi si trovi nelle situazioni descritte sappia come poter tutelare la propria posizione giuridica.

Sull’argomento potete anche visionare il video pubblicato sul nostro canale youtube, a cui sarete reindirizzati cliccando qui.

Codice pronto soccorso: cos’è

È indispensabile chiarire che cosa sia il codice per il triage (più semplicemente noto come codice pronto soccorso).

Come noto al pronto soccorso l’accesso alle cure non avviene in base all’ordine di arrivo bensì in base alla gravità della situazione di salute di ogni paziente, gravità che viene stabilita dall’infermiere a ciò preposto in base all’assegnazione di un codice, detto appunto di triage.

Al variare del colore del codice cambia anche la gravità delle condizioni; i codici, posti in ordine crescente di gravità, sono i seguenti: bianco (non urgente), verde (differibile), giallo (situazione pericolosa), rosso (urgenza assoluta).

L’attribuzione del codice viene effettuata a seguito di un’iniziale analisi, svolta dall’infermiere a ciò addetto, finalizzata a valutare quanto sia grave la situazione di salute del paziente e, di conseguenza, con che priorità si debba intervenire.

Appare in tutta evidenza come un’errata attribuzione del colore del codice possa avere conseguenze molto gravi, se non irreparabili in taluni casi, qualora sia assegnato un codice bianco o verde ad un soggetto che invece necessitava di un codice rosso con intervento immediato.

Responsabilità civile: quando scatta il risarcimento

Sotto l’aspetto civilistico il paziente che abbia subito danni a causa dell’errata attribuzione del codice del pronto soccorso potrà ottenerne l’integrale ristoro.

Per errata attribuzione, giuridicamente rilevante ai fini di un risarcimento del danno, si intende l’attribuzione al paziente di un codice meno grave rispetto a quello che le linee guida mediche e le concrete circostanze avrebbero imposto di assegnare.

La responsabilità in esame si inserisce nel più ampio contesto della responsabilità medica oggetto di una nuova disciplina normativa ad opera della legge n. 24 del 2017 c.d. “legge Gelli – Bianco”.

L’art. 7, 1° della legge citata prevede che: “La struttura sanitaria o sociosanitaria pubblica o privata che, nell’adempimento della propria obbligazione, si avvalga dell’opera di esercenti la professione sanitaria, anche se scelti dal paziente e ancorché non dipendenti della struttura stessa, risponde, ai sensi degli articoli 1218 e 1228 del codice civile, delle loro condotte dolose o colpose”.

Questo articolo ha particolare rilevanza perché si inserisce in un’annosa disputa circa quale sia la natura giuridica della responsabilità dell’esercente la professione sanitaria, se contrattuale (più favorevole al danneggiato) o extra-contrattuale (più favorevole al sanitario), prevedendo chiaramente, in ottica di tutela del paziente, che la struttura sanitaria risponda a titolo di responsabilità contrattuale ex artt. 1218 e 1228 c.c..

Tutto ciò implica che il paziente, per essere risarcito dalla struttura sanitaria, dovrà:

– provare il rapporto contrattuale con la struttura, ossia che è stato preso in carico dalla stessa;

– allegare semplicemente l’inadempimento e tutti i relativi danni subiti, ossia la circostanza che la situazione clinica si è aggravata o sono insorte nuove patologie a causa della condotta del sanitario;

– provare il nesso causale, secondo il criterio del “più probabile che non”, tra il danno subito e l’inadempimento (in tal senso da ultimo Cass. sent. n.6593 del 2019), ossia che, secondo quanto appare più probabile, la condotta del sanitario sia stata causa del danno patito.

Spetterà poi alla struttura cercare di dimostrare, per andare esente da responsabilità, che: “l’impossibilità della prestazione derivante da causa non imputabile, provando che l’inesatto adempimento è stato determinato da un impedimento imprevedibile ed inevitabile con l’ordinaria diligenza” (Cass.  sentenza n. 18392 del 2017); prova in concreto difficilissima da dare.

I danni risarcibili sono rappresentati da tutti i danni patrimoniali (sia come danno emergente, ossia spese sostenute, che come lucro cessante, ossia perdite economiche patite) che non patrimoniali (sia come danno biologico, sia morale che esistenziale) subiti.

Per quanto concerne il termine di prescrizione, infine, il danneggiato potrà esercitare il suo diritto al risarcimento del danno nel termine di 10 anni.

 È bene sottolineare come il danneggiato non possa beneficiare del più favorevole regime della responsabilità contrattuale qualora voglia agire direttamente nei confronti dell’ operatore sanitario e non nei riguardi della struttura; la legge Gelli – Bianco, infatti, per tutelare la classe medica ha previsto, all’art. 7, 3°, che: “l’esercente la professione sanitaria di cui ai commi 1 e 2, risponde del proprio operato ai sensi dell’art. 2043 del codice civile, salvo abbia agito nell’adempimento di una obbligazione contrattuale assunta con il paziente”.

L’operatore sanitario, ad eccezione della stipula di uno specifico contratto con il paziente, risponderà dunque nei confronti dello stesso ex art. 2043 c.c., ossia secondo le più stringenti regole della responsabilità extracontrattuale.

Sulla base delle considerazioni svolte appare in tutta evidenza come un paziente che, a causa dell’attribuzione errata di un codice di triage, abbia subito danni che avrebbero potuto essere evitati tramite un intervento tempestivo riconnesso ad un codice più grave, otterrà dalla struttura sanitaria l’integrale risarcimento di tutti i danni subiti, sia patrimoniali che non patrimoniali.

È opportuno sottolineare poi come sia molto difficile per l’infermiere sostenere quale scusante l’impossibilità della prestazione: la giurisprudenza ritiene infatti che nemmeno il sovraffollamento di pazienti al pronto soccorso possa giustificare l’errata attribuzione del codice per il triage (in tal senso Cass. sent. n. 11601 del 2015). 

Responsabilità penale: che reati si possono configurare

Si deve indagare ora se l’infermiere che erra nell’attribuzione del codice possa incorrere in responsabilità penale se si verifichi la morte o la lesione del paziente.

I reati potenzialmente ascrivibili sono, dunque, quello di omicidio colposo, ex art. 589 c.p., e di lesioni personali colpose, ex art. 590 c.p..

Nel prosieguo dell’esposizione ci si riferirà per semplicità all’ipotesi di omicidio ma le medesime considerazioni valgono ugualmente per il reato di lesioni.

Orbene, qualora l’evento morte sia causalmente riconducibile all’errore nell’attribuzione del codice di urgenza, e, in base alle circostanze del caso concreto, fosse possibile per l’infermiere un’individuazione corretta del codice di priorità, sarà configurabile il delitto di omicidio colposo.

Ci si deve a questo punto interrogare su quando la morte del paziente possa dirsi causata dall’errore nell’attribuzione del codice di urgenza e, di conseguenza, sia configurabile il reato in capo all’operatore sanitario.

Potrà dirsi sussistente il nesso causale se, considerato come assegnato il codice più grave, l’evento “con elevato grado di credibilità razionale, non avrebbe avuto luogo ovvero avrebbe avuto luogo in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva (in tal senso Cass. SU sent. n. 30328).

Se l’evento morte sarebbe stato evitato tramite l’attribuzione del giusto codice di urgenza, dovrà dirsi sussistente il nesso causale tra l’errata assegnazione e la morte del paziente e, di conseguenza, sarà configurabile il reato in capo all’infermiere, preposto al triage, autore dell’errore.

Qualora, invece, anche se data come realizzata la condizione omessa, ovvero considerato come assegnato il codice più grave, la morte si sarebbe in ogni caso realizzata, non sussisterà il nesso di causa e, di conseguenza, non potrà configurarsi il reato.

Esemplificando: se la vittima era arrivata al pronto soccorso in condizioni talmente gravi che nemmeno l’intervento più celere possibile avrebbe potuto salvarla non potrà essere considerato responsabile l’infermiere che ha errato nell’attribuzione del codice; qualora invece la vittima sia arrivata in condizioni che avrebbero potuto essere risolte con un intervento rapido e questo, in virtù dell’errore nell’assegnazione del codice, non è stato posto in essere, la morte sarà imputabile all’infermiere a titolo di omicidio colposo.

Si deve chiarire ora come, ai fini della concreta rimproverabilità del reato di omicidio colposo in capo all’autore, sia indispensabile il c.d. elemento soggettivo della colpa, ossia la condotta dell’infermiere deve essere contraria, ex art. 43 c.p., a regole di prudenza, diligenza, perizia ovvero inosservante di leggi, regolamenti o discipline specifiche.

Appare infatti in tutta evidenza come non sia possibile muovere alcun rimprovero all’operatore sanitario che ha sì attribuito un codice meno grave di quello che sarebbe stato necessario per curare tempestivamente il paziente, ma, posto il rispetto delle linee guida mediche riguardanti il triage, e in considerazione delle concrete circostanze (ad es.: mancata presenza di alcun sintomo, nessuna familiarità con la patologia, ecc.), non avrebbe in nessun modo potuto assegnare il codice più grave.

Sarà, per contro, responsabile il sanitario che ponga in essere una condotta gravemente imprudente e colposa, e che si configura, ad esempio e senza pretesa di esaustività, quando questo ometta:

– di rispettare le linee guida del triage ai fini dell’inquadramento del caso clinico del paziente nel corretto codice d’urgenza;

– di informarsi circa la familiarità del paziente con patologie pregresse;

– di compilare correttamente la scheda di accettazione al pronto soccorso;

– di verificare le condizioni del paziente dopo molte ore di attesa e nonostante le lamentele di questo circa peggioramento delle sue condizioni.

È giusto affermare quindi, sulla base delle considerazioni svolte, come un infermiere di triage che commetta un evidente errore di assegnazione del codice di urgenza, violando le relative linee guida, a causa del quale il paziente deceda o subisca dei gravi danni, e ciò in virtù delle mancate terapie che invece avrebbero evitato il verificarsi di questi eventi, sarà chiamato a rispondere penalmente per il reato di omicidio colposo o di lesioni personali colpose.  

Casistica giurisprudenziale penale

In conclusione di trattazione si elencano ora alcune recenti sentenze della corte di Cassazione riguardanti il tema della responsabilità penale dell’infermiere addetto al triage, fornendo un breve spiegazione di come si sono svolti i fatti nei relativi processi e sottolineando i profili di maggior interesse.

Cassazione sentenza n. 18100 del 2017: la corte ritiene responsabile per omicidio colposo l’infermiere che non ha rispettato le linee guida del triage omettendo di compilare correttamente il modulo di accettazione e sottovalutando la familiarità di problemi cardiaci nella famiglia; in ragione di queste errate condotte ha attribuito un codice verde al posto del corretto codice giallo.

Il paziente è, in conseguenza di ciò, deceduto per un infarto cardiaco dopo essere stato ad attendere per più di tre ore dal momento dell’accettazione, senza aver ricevuto alcuna cura.

L’attribuire il codice corretto avrebbe evitato l’attesa e imposto lo svolgersi degli opportuni esami che avrebbero condotto a scongiurare il decesso.

Cassazione sentenza n. 26922 del 2017: la corte ritiene responsabile per omicidio colposo l’infermiere che, ad un paziente che lamentava dolori al torace, ha assegnato erroneamente un codice verde e ha omesso di verificarne, successivamente, ogni 30/60 minuti le condizioni di salute.

Dopo alcune ore il paziente è deceduto per infarto cardiaco; le più celeri e pronte cure, connesse ad un codice più urgente, avrebbero evitato l’evento morte.

Cassazione sentenza n. 11601 del 2015: la corte, anche in questo caso, ritiene responsabile per omicidio colposo un infermiere che aveva erroneamente attribuito un codice verde ad un paziente che presentava dolori intercostali e al torace; paziente poi deceduto per un infarto che si sarebbe potuto evitare con l’attribuzione del corretto codice e tenendo monitorate le sue condizioni.

La sentenza si segnale perché la corte esclude qualsiasi rilevanza scusante alla circostanza che il pronto soccorso fosse sovraffollato di pazienti: tutto ciò non può in alcun modo portare a giustificare la non corretta attribuzione del codice di triage, anzi è lo stesso personale del pronto soccorso che, in presenza di un eccezionale afflusso di pazienti, deve richiedere un invio di ulteriore personale per far fronte alla situazione di emergenza.

 

 

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