Danno da animale selvatico

Danno da animale selvatico

Hai distrutto l'auto o riportato ferite a causa di un animale che, dal nulla, è improvvisamente piombato sulla strada? Qui scoprirai come essere risarcito per ogni danno da animale selvatico.

Danno da animale selvatico: come farsi risarcire

In molte zone d’Italia, specialmente quelle collinari e montuose, vi sono numerosi animali selvatici, quali cervi, cinghiali, caprioli o camosci, che si spostano liberamente e che non di rado attraversano strade asfaltate su cui transitano auto o moto; quello che dobbiamo chiederci oggi è: Cosa accade se un automobilista investe un animale selvatico improvvisamente comparso sulla strada? Può il conducente incolpevole di ottenere il risarcimento dei danni patiti? E se sì, nei confronti di chi dovrà agire e in che modo?

A tutte queste domande si risponderà nel corso della presente trattazione esaminando il tema della responsabilità per il danno da animale selvatico.

È opportuno chiarire fin d’ora come, alla luce dell’orientamento giurisprudenziale sposato dalla suprema Corte di Cassazione con sent. n.7969 del 20.04.2020, il conducente incolpevole possa ottenere il risarcimento di tutti i danni patiti agendo nei confronti della Regione sul cui territorio si è verificato il sinistro.

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Responsabilità configurabile e art. 2052 c.c.

La fattispecie in esame si inquadra nel contesto responsabilità extracontrattuale, cosiddetta in quanto il danno non è da ricondurre ad un inadempimento contrattuale bensì ad un fatto illecito, disciplinata dagli artt. 2043 e seguenti del codice civile.

Elementi costitutivi della stessa, che rilevano per la nostra analisi, e devono essere puntualmente provati dal danneggiato sono: il fatto illecito (ossia il comportamento, attivo od omissivo, posto in essere dal danneggiante in violazione di un’altrui posizione giuridica tutelata dall’ordinamento); il nesso causale tra il fatto e l’evento dannoso; il danno (ossia la perdita concretamente patita dal danneggiato a causa del fatto illecito); l’elemento psicologico del dolo o della colpa(deve infatti essere concretamente rimproverabile la condotta posta in essere dal danneggiante).

Si deve porre particolare attenzione, data la rilevanza per la nostra analisi, sulla necessità per il danneggiato di provare un comportamento rimproverabile a titolo di dolo, ossia direttamente voluto, o quantomeno a titolo di colpa, ossia che, anche se non voluto, il responsabile avrebbe dovuto evitare in ragione della specifica posizione rivestita.

Di fronte a queste previsioni generali il codice disciplina poi, negli articoli successivi, delle ipotesi specifiche di responsabilità; l’art. 2052 c.c., in particolare, con riguardo al danno cagionato da animali prevede infatti che: “il proprietario o chi se ne serve per il tempo in cui ha l’uso, è responsabile dei danni cagionati dall’animale, sia che fosse sotto custodia, sia che fosse smarrito o fuggito, salvo che provi il caso fortuito”.

Trattasi di una responsabilità oggettiva, in quanto il danneggiante è responsabile per il danno a prescindere da una sua colpa e può andare esente unicamente se riesce a dimostrare che l’evento dannoso si è verificato per caso fortuito, per tale intendendosi un fatto naturale o del terzo, che risulta assolutamente imprevedibile ed inevitabile.

L’obbligazione risarcitoria grava quindi su di un soggetto non in virtù di una sua condotta, risultata fondante la serie causale che ha condotto alla produzione dell’evento dannoso, bensì perché il soggetto si trova in una posizione qualificata nei confronti della cosa (ovvero l’animale, che è considerato un bene mobile per il nostro ordinamento) da cui il danno è stato creato, e questa particolare relazione, gli impone di sorvegliare la cosa impedendo che la stessa possa causare lesioni ad altrui posizioni giuridiche tutelate dall’ordinamento.

Tutto ciò in chiara ottica di tutela del danneggiato che quindi non dovrà provare tutti gli elementi di cui all’art. 2043, bensì unicamente l’evento lesivo, il danno subito ed il nesso di causalità.

L’art. 2052 c.c. si applica anche agli animali selvatici?

La disciplina in esame trova senz’altro applicazione nell’ipotesi in cui l’animale autore dei danni sia domestico, per tale intendendosi l’animale appartenente ad un soggetto privato; qualora si tratti invece di animale selvatico può ritenersi ugualmente applicabile la medesima disciplina?

Per quanto concerne il contesto normativo è importante sottolineare come la fauna selvatica, ossia gli animali in stato di naturale libertà sul territorio nazionale, con la legge n. 968 del 1977,  è stata dichiarata di proprietà statale, nello specifico inserita nel c.d. patrimonio indisponibile;  siffatta impostazione è stata confermata dalla legge n. 157 del 1992, la quale, all’art. 1,  ha chiarito come spetti alle regioni, nell’interesse dello stato e della comunità internazionale, la gestione e la tutela di tutte le specie di animali ricompresi nella fauna selvatica.

Essendo lo Stato proprietario degli animali selvatici la dottrina ha ritenuto applicabile ai danni da questi causati la disciplina speciale prevista dall’art. 2052 c.c..

La giurisprudenza, tuttavia, è stata sempre contraria a questa ricostruzione, sostenendo che lo stato di naturale libertà degli animali selvatici è incompatibile con qualsiasi obbligo di custodia da parte della pubblica amministrazione: l’ente competente non potrà pertanto essere chiamato a rispondere dei danni causati dagli animali sottoposti alla sua gestione in base al disposto di cui all’art. 2052 c.c., bensì unicamente in base ai principi generali di cui all’art. 2043 c.c., con il relativo specifico onere probatorio, per il danneggiato, di individuare il concreto comportamento colposo ascrivibile alla pubblica amministrazione (in tal senso, tra le tante, Cass. ordinanza n. 5722 del 2019; Cass. sentenza n. 9276 del 2014). 

Ciò comporta un onere probatorio difficilissimo per il danneggiato in quanto, per poter dimostrare la colpa dell’ente, dovrebbe dimostrare che, concretamente, erano già state poste in essere segnalazioni circa il pericoloso aggirarsi di animali nella zona, ovvero che tale circostanza era fatto notorio, riuscendo di conseguenza a provare come l’inerzia pubblica abbia assunto i contorni di un comportamento rimproverabile.

Proprio in virtù di questa ricostruzione, nel corso degli anni, molti danneggiati, che si sono visti piombare improvvisamente cinghiali o caprioli addosso alla propria auto, non sono riusciti a tutelare la propria posizione giuridica, non avendo raggiunto la prova circa la sussistenza del comportamento colposo.

La difficoltà di tutela è sempre stata acuita poi da un ulteriore aspetto, rappresentato dalla difficoltà di individuare correttamente l’ente responsabile.

Essendo conferita alla regione la concreta gestione e tutela della fauna selvatica molto spesso capita che questa deleghi ad ulteriori enti l’effettivo svolgimento di tale compito, con conseguente stratificazione dei compiti differente da regione a regione.

Per il danneggiato questo comporta una difficoltà molto elevata nell’individuare l’ente a cui in concreto è affidato il compito di gestione in esame, difficoltà acuita dal fatto che assai spesso, purtroppo, si assiste ad un comportamento ostruzionistico da parte degli enti interpellati che imputano la responsabilità a qualche soggetto ulteriore.

A fronte di questa situazione l’orientamento tradizionale ha sempre ritenuto che una errata individuazione dell’ente responsabile abbia come conseguenza l’impossibilità di ottenere il risarcimento dei danni patiti (con relativo rischio di condanna alle spese del giudizio in capo al danneggiato).

Il nuovo orientamento della Cassazione

A fronte delle problematiche di tutela esposte, nonché delle critiche espresse in tal senso da parte della dottrina avverso l’impostazione tradizionale,  la suprema Corte di Cassazione ha modificato il suo orientamento, enunciando, nella sent. n. 7969 del 20.04.2020, il seguente principio di diritto: “ ai fini del risarcimento dei danni cagionati dagli animali selvatici appartenenti alle specie protette e che rientrano, ai sensi della L. n. 157 del 1992, nel patrimonio indisponibile dello Stato, va applicato il criterio di imputazione della responsabilità di cui all’art. 2052 c.c. e il soggetto pubblico responsabile va individuato nella Regione, in quanto ente al quale spetta in materia la funzione normativa, nonché le funzioni amministrative di programmazione, coordinamento, controllo delle attività eventualmente svolte da altri enti, ivi inclusi i poteri sostitutivi per i casi di eventuali omissioni (e che dunque rappresenta l’ente che “si serve”, in senso pubblicistico, del patrimonio faunistico protetto), al fine di perseguire l’utilità collettiva di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema; la Regione potrà eventualmente rivalersi (anche chiamandoli in causa nel giudizio promosso dal danneggiato) nei confronti degli altri enti ai quali sarebbe spettato di porre in essere in concreto le misure che avrebbero dovuto impedire il danno, in quanto a tanto delegati, ovvero trattandosi di competenze di loro diretta titolarità“.

La Cassazione chiarisce dunque come la responsabilità per i danni causati da fauna selvatica siano da ricondurre alla disciplina di cui all’art. 2052 c.c. e non a quella generale ex art. 2043 c.c.; su queste basi, pertanto, al danneggiato sarà sufficiente provare evento lesivo, il danno concretamente subito ed il nesso di causalità.

In concreto, dunque, il soggetto per ottenere il risarcimento dovrà provare la precisa dinamica dell’incidente e che lo stesso non sia dipeso da sua esclusiva colpa; raggiunta questa prova dovrà essere risarcito di tutti i danni patrimoniali (danno emergente e lucro cessante) e non patrimoniali (danno biologico, danno morale, danno esistenziale) patiti.

L’ente potrà andare esente da responsabilità solo se riuscirà a fornire la c.d. prova liberatoria, cioè che il danno si è verificato per caso fortuito.

Per provare il caso fortuito si dovrà dimostrare, in particolare, che la condotta dell’animale selvatico, in ragione della sua imprevedibilità ed inevitabilità, era completamente al di fuori dalla sfera di controllo dell’ente e, anche se fossero state messe in atto tutte le misure possibili, ugualmente non si sarebbe potuto evitare il verificarsi del danno; appare in tutta evidenza come detta prova sia quasi impossibile da fornire concretamente.

La Cassazione precisa poi come l’ente responsabile nei cui confronti debba essere presentata la richiesta di risarcimento sia costituito dalla regione; questo perché è il soggetto titolare del potere legislativo e amministrativo di gestione e controllo della fauna selvatica e, anche quando deleghi questi compiti a enti minori, rimane comunque destinatario di un potere/dovere di controllo sull’operato degli enti delegati.

Qualora dunque l’ente minore a cui è stato delegato il potere di gestione e controllo ometta di esercitarlo come dovuto sarà comunque responsabile le Regione; fatta salva la possibilità per quest’ultima di chiamare in causa e rivalersi nei confronti dell’ente a cui aveva delegato il compito in esame.

In questo modo è garantita un’ampia tutela al danneggiato, sia tramite l’applicazione della favorevole disciplina speciale di cui all’art. 2052 c.c., evitando così che debba essere individuato e provato il comportamento colposo ascrivibile alla pubblica amministrazione necessario ex art. 2043 c.c., sia tramite l’individuazione della Regione quale ente responsabile, ovviando in tal modo alle grandissime incertezze, con annessi deficit di tutela, che avevano caratterizzato la precedente impostazione.

Come agire concretamente

Effettuiamo ora un prospetto in cui vengono indicati i passaggi da seguire per ottenere il risarcimento dei danni patiti a causa di animali selvatici.

Eccoli elencati:

– fotografare il luogo del sinistro e le conseguenze che lo stesso ha prodotto su persone o cose;

– se ve ne sono segnare i recapiti di tutti i possibili testimoni;

– se la gravità dell’incidente lo richiede chiamare le forze dell’ordine;

– se si sono subiti danni alla persona recarsi al pronto soccorso e successivamente ritirare il relativo referto che accerta le lesioni subite e in che modo le stesse si sono verificate;

– denunciare il prima possibile l’accaduto alla Regione competente;

– se si sono patiti danni alla persona conservare le fatture, ricevute e scontrini di tutte le visite mediche, interventi, medicine e degli ulteriori costi sostenuti a causa dell’incidente;

– proporre alla Regione responsabile, tramite raccomandata A/R o pec, richiesta di risarcimento di tutti i danni subiti;

– in caso di rifiuto della Regione di risolvere bonariamente la questione, corrispondendo quanto dovuto, agire legalmente per ottenere il risarcimento di ogni danno ingiustamente subito.

È opportuno infine ricordare come, in ragione della complessità della materia e dell’importanza di ottenere il giusto risarcimento, sia fondamentale farsi sempre assistere da un avvocato esperto di risarcimento danni.

Se avete dubbi sull’argomento, o necessitate di assistenza legale, non esitate a contattarci.

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