Contenuti
Introduzione
Per danno da emotrasfusione si intende la lesione permanente alla salute del paziente che, a seguito di una trasfusione realizzata con sangue infetto, abbia contratto una malattia quale l’epatite (HBV, HCV) o l’aids (HIV).
Siffatta fattispecie si verifica con più frequenza nell’ipotesi di soggetti già affetti da particolari patologie, quale ad esempio la talassemia, che implicano la necessità di praticare emotrasfusioni con regolarità a fini terapeutici, tuttavia non mancano i casi di verificazione anche in soggetti che hanno avuto bisogno della trasfusione per un’unica situazione contingente, ad esempio un intervento chirurgico.
Lo stato italiano, a seguito dell’emergere della problematica negli anni ’80 con la diffusione dell’Hiv, ha emanato la legge 210 del 1992 regolante l’indennizzo per le vittime di danni da emotrasfusione
E bene sottolineare fin da subito come la somma eventualmente erogata sulla base della legge in questione sia un indennizzo forfettariamente stabilito e che, pertanto, non persegue la funzione di risarcire tutti i danni patiti dalla vittima.
Si affronteranno ora le principali questioni relative alla tematica in esame, ovvero come la vittima possa ottenere l’integrale ristoro della lesione patita, se si possa cumulare un eventuale risarcimento con l’indennizzo di cui alla legge 210 del 92, nonché quale sia il termine di prescrizione entro cui deve essere esercitato il diritto.
Si terminerà la trattazione, infine, con una breve rassegna giurisprudenziale sulla materia.
Prima di proseguire vi segnaliamo inoltre che potete visionare, sul nostro canale youtube, il video in cui viene spiegato l’argomento del danno da emotrasfusione; cliccando qui verrete reindirizzati al video.
L’indennizzo ex lege 210 del 1992
Ai fini del ristoro della lesione patita la vittima può, in primis, giovarsi di quanto previsto dalla legge 210/92.
La normativa in esame prevede, come anticipato, un indennizzo in favore del soggetto che abbia subito danni irreversibili a causa di una emotrasfusione con sangue infetto.
Per completezza espositiva è opportuno sottolineare come siffatta tipologia di ristoro sia prevista, dalla legge in questione, anche per indennizzare le lesioni permanenti patite a causa di vaccinazioni obbligatorie.
Per quanto concerne l’iter da seguire la vittima, ex art. 3, 1°, deve presentare domanda al ministero della Sanità, entro 3 anni dalla conoscenza dell’avvenuta lesione ovvero entro 10 anni in caso di contagio da Hiv, corredata di tutta la documentazione certificante l’avvenuta trasfusione e l’insorgere della malattia connessa.
Successivamente, l’apposita commissione medico – ospedaliera a ciò deputata, formula un giudizio circa la sussistenza di causalità tra l’emotrasfusione e l’insorgenza della malattia.
Qualora il giudizio in questione sia positivo la vittima avrà diritto ad un indennizzo consistente, ex art. 2, 1°, in un assegno non reversibile determinato nella misura di cui alla tabella B allegata alla legge 177 del 1976, a cui può essere, inoltre, cumulata un somma a titolo di indennità integrativa speciale di cui alla legge 324 del 1959.
Esaurita questa esposizione circa l’iter necessario ai fini dell’ottenimento del ristoro di cui alle legge 210 del 1992 è opportuno chiarire la natura giuridica della somma.
Questa ha natura di indennizzo e non di risarcimento; ciò significa che è erogata dallo stato in virtù di un generale dovere di solidarietà sociale previsto dall’art. 2 della Costituzione e finalizzato a fornire ristoro alla menomazione subita del diritto alla salute, tutelato ex art. 32 Costituzione, e prescinde totalmente da qualsiasi profilo di responsabilità della struttura ospedaliera che ha svolto l’emotrasfusione.
Da ciò deriva, inoltre, che sarà molto più semplice ottenere la somma erogata a titolo di indennizzo non essendo necessario provare tutti gli elementi costitutivi della responsabilità, tuttavia la stessa non provvederà al ristoro di ogni lesione patita dalla vittima, non avendo natura risarcitoria, bensì sarà forfettariamente determinata sulla base delle predette tabelle.
Il soggetto che non si consideri integralmente soddisfatto dopo la corresponsione dell’indennizzo potrà dunque agire per ottenere, a titolo di risarcimento, il ristoro di tutte le lesioni patite.
Il risarcimento del danno
La persona che abbia contratto una lesione permanente, sotto forma di grave malattia irreversibile quale Hiv o epatite, a prescindere dalla richiesta e dall’ottenimento del predetto indennizzo, ha la possibilità quindi di agire direttamente nei confronti della struttura ospedaliera o del ministero della salute per ottenere il risarcimento di ogni danno patito.
In capo ai due differenti soggetti si configurano due distinte forme di responsabilità; la struttura ospedaliera sarà responsabile in via contrattuale, avendo preso in carico il paziente, mentre il ministero della salute in via extra-contrattuale avendo omesso di vigilare e di predisporre e attuare tutte le misure idonee ad evitare il contagio.
Il soggetto che agisca in via contrattuale, ex art. 1218 e ss. c.c., contro la struttura ospedaliera dovrà: provare l’esistenza del contratto (ossia di essere stato preso in carico dalla struttura); allegare l’inadempimento (ovvero che la struttura gli ha somministrato del sangue infetto); dimostrare il danno patito in conseguenza dell’inadempimento (ossia i danni causalmente ricollegabili alla somministrazione di sangue infetto).
Il soggetto che agisca in via extra-contrattuale, ex art. 2043 e ss. c.c., contro il ministero della salute, invece, dovrà provare: il fatto illecito commesso (ossia di aver subito una trasfusione con sangue infetto); il danno concretamente subito; il rapporto di causalità intercorrente tra fatto illecito e il proprio danno (ovvero, esemplificando, tra utilizzo di sangue infetto per la trasfusione e insorgenza della malattia); il c.d. elemento soggettivo, vale a dire il dolo o la colpa del danneggiante rilevante ai fini della commissione del fatto illecito (che si concretizza nell’omessa vigilanza sul sangue trasfuso, costituendo un esempio di c.d. culpa in vigilando).
Per quanto concerne il termine di prescrizione del diritto al risarcimento questo, in base alla disciplina prevista dal codice civile in tema di responsabilità contrattuale, ammonta a 10 anni, mentre, in base alla disciplina prevista in tema di responsabilità extra-contrattuale, ammonta a 5 anni; il danneggiato dovrà pertanto agire nel termine perentorio di 10 o 5 anni (a seconda del tipo di responsabilità configurabile) dalla conoscenza della lesione.
Appare in tutta evidenza come sia molto più favorevole per il danneggiato agire in via contrattuale nei confronti della struttura ospedaliera, tuttavia ciò non è sempre concretamente realizzabile, rendendo necessario agire in via extra-contrattuale nei confronti del ministero della salute.
Presupposto per agire contrattualmente nei confronti della struttura ospedaliera è che il soggetto, che deve appunto ricondurre il danno ad un concreto episodio trasfusionale, abbia subito una singola trasfusione, o, eventualmente, più trasfusioni ma tutte presso il medesimo ospedale; in assenza di ciò sarà impossibilitato ad individuare con precisione il soggetto realmente responsabile per l’episodio che lo ha danneggiato.
Qualora invece il soggetto abbia subito più trasfusioni nel corso del tempo e presso differenti strutture ospedaliere (circostanza che si verifica, in particolare, per i soggetti che soffrono di malattie necessitanti di trasfusioni regolari a fini terapeutici) non potrà individuare in concreto a chi sia riconducibile causalmente il danno e dovrà agire nei confronti del ministero della salute, responsabile in ragione dell’omessa vigilanza, a cui è istituzionalmente tenuto, affinché non sia fornito e utilizzato, nelle varie strutture ospedaliere, sangue infetto.
Si deve chiarire ora quali siano le voci di danno risarcibili: dovranno essere risarciti tutti i danni patrimoniali e non patrimoniali subiti.
I danni patrimoniali incidono direttamente sulla sfera economica del danneggiato e si dividono in danno emergente (ossia spese sostenute) e lucro cessante (ossia perdite economiche subite).
I danni non patrimoniali, invece, sono definibili quali le lesioni degli interessi della persona non connotati da rilevanza economica.
Nell’unitaria categoria del danno non patrimoniale possono essere identificate le seguenti categorie: il danno biologico (ossia il danno alla salute subito accertato tramite perizia medico-legale), il danno morale (ossia le sofferenze e i patimenti interiori) e il danno esistenziale (ossia la lesione di diritti costituzionalmente garantiti che implicanti delle modifiche peggiorative della qualità di vita).
Indennizzo e risarcimento si possono cumulare?
Ci si deve ora chiedere se il soggetto, vittima di un danno a seguito di una emotrasfusione, dalla cifra risultante, in sede di azione per il risarcimento del danno patito, debba defalcare quanto già ricevuto in qualità di indennizzo ex lege 210/92 oppure possa cumulare le due somme.
Esemplificando: se si accerta che Tizio ha subito un danno di 50.000, e in precedenza aveva ottenuto un indennizzo di 10.000, le due somme potranno sommarsi facendo sì che Tizio, in conclusione, percepisca 60.000? oppure dalla cifra quantificata dovranno essere scomputati i precedenti 10.000 di modo che Tizio ottenga 40.000 a titolo di risarcimento, che sommati ai 10.000 a titolo di indennizzo diano la cifra totale di 50.000, equivalente al danno effettivamente patito?
Detta questione si pone dal momento che le due somme hanno una diversa natura giuridica, una di risarcimento quale lesione di una posizione giuridica soggettiva, e una di indennizzo dovuto in virtù del principio di solidarietà di cui all’art. 2 Costituzione.
La giurisprudenza sul punto è chiara nell’affermare (in tal senso da ultimo Cassazione ordinanza n. 4309 del 2019) che le due somme non possono sommarsi, e ciò in virtù del principio della c.d. compensatio lucri cum damno.
In base a questo principio, immanente al nostro ordinamento, nessun danno può portare ad un arricchimento del danneggiato; l’unica funzione del risarcimento è infatti quella di ripristinare il patrimonio del soggetto leso facendo sì che lo stesso si trovi nella medesima condizione in cui sarebbe stato se non si fosse verificato il danno.
Il cumulo è pertanto vietato in quanto darebbe vita ad una duplicazione risarcitoria inammissibile: a prescindere dalla natura giuridica delle somme queste non possono superare quanto si certifica essere il danno patito dalla vittima.
Prescrizione
Altra questione di particolare rilevanza è quella riguardante la prescrizione ovvero entro che termine il danneggiato da emotrasfusione deve intraprendere le relative azioni.
Per quanto concerne l’indennizzo ex legge 210/92 la richiesta può essere svolta, in base al disposto di cui all’art. 3, 1°, nel termine di 3 anni dalla conoscenza o della conoscibilità tramite l’ordinaria diligenza, dell’avvenuto danno; termine che viene elevato a 10 anni in caso di infezione da Hiv.
Il momento che assume rilievo è quindi quello dell’effettiva conoscenza del contagio, che può avvenire anche a distanza di molti anni da quello di effettuazione della trasfusione.
Per quanto riguarda, invece, la prescrizione del risarcimento del danno, qualora si agisca nei confronti della struttura ospedaliera, trattandosi di responsabilità contrattuale, il termine è di 10 anni, qualora si agisca contro il ministero della salute, trattandosi di responsabilità extra-contrattuale, ammonta a 5 anni, entrambi decorrenti dalla conoscenza o dall’avvenuta conoscibilità della lesione.
Orbene la questione è capire quando si possa parlare di conoscenza ai fini della richiesta di risarcimento del danno; in particolare se debba ritenersi conosciuta una lesione, con inizio del decorso del termine prescrizionale, al momento della proposizione della richiesta di indennizzo o se, invece, si debba individuare nel momento, successivo, in cui la commissione sanitaria abbia appurato la sussistenza del rapporto di causalità tra trasfusione e insorgenza della malattia con relativo diritto all’indennizzo.
Sul punto la Corte di Cassazione, con un recente arresto (Cass. ordinanza n. 7776 del 2018), ha chiarito come debba individuarsi la conoscenza della lesione, con relativo avvio del decorso del termine prescrizionale, nel momento in cui viene presentata la richiesta di indennizzo al ministero della salute.
Il termine inizierà quindi a decorrere dal momento in cui il soggetto presenta richiesta di indennizzo e ciò in ragione del fatto che da quel momento ha sicuramente la conoscenza della malattia contratta.
La conoscenza o conoscibilità della lesione anteriore alla richiesta di indennizzo non può in nessun caso essere presunta e, se eccepita, deve essere rigorosamente provata dal convenuto che la sostiene.
È fondamentale sottolineare come, tuttavia, è sempre possibile per il danneggiato interrompere il termine prescrizionale, con la conseguenza che le stesso debba iniziare ex novo il suo decorso, tramite l’invio di una raccomandata od una pec con richiesta di risarcimento del danno alla struttura ospedaliera o al ministero della salute.
Trasfusione con sangue infetto: casistica giurisprudenziale
In conclusione di trattazione si elencano ora alcune recenti pronunce giurisprudenziali inerenti le principali questioni esaminate.
– Cassazione sentenza n. 17421 del 2019: “in tema di risarcimento del danno alla salute causato da emotrasfusione con sangue infetto, ed ai fini dell’individuazione dell’exordium praescriptionis, una volta dimostrata dalla vittima la data di presentazione della domanda amministrativa di erogazione dell’indennizzo previsto dalla L. n. 210 del 1992, spetta alla controparte dimostrare, anche per mezzo di presunzioni semplici, che già prima di quella data il danneggiato conosceva o poteva conoscere, con l’ordinaria diligenza, sia l’esistenza della malattia, sia la sua riconducibilità causale alla trasfusione”
– Cassazione ordinanza n. 2778 del 2019: “nel giudizio promosso nei confronti del Ministero della salute per il risarcimento del danno conseguente al contagio da virus HBV, HIV o HCV a seguito di emotrasfusioni con sangue infetto, l’indennizzo di cui alla L. n. 210 del 1992 non può essere scomputato dalle somme liquidabili a titolo di risarcimento del danno (“compensatio lucri cum damno”), qualora non sia stato corrisposto e tantomeno determinato o determinabile, in base agli atti di causa, nel suo preciso ammontare, posto che l’astratta spettanza di una somma suscettibile di essere compresa tra un minimo ed un massimo, a seconda della patologia riconosciuta, non equivale alla sua corresponsione e non fornisce elementi per individuarne l’esatto ammontare”
– Cassazione ordinanza n. 15743 del 2018: “In tema di danni da emotrasfusioni, nel giudizio promosso dal danneggiato contro il Ministero della salute, l’accertamento della riconducibilità del contagio ad una emotrasfusione, compiuto dalla Commissione di cui all’art. 4 della l. n. 210 del 1992, in base al quale è stato riconosciuto l’indennizzo ai sensi di detta legge, non può essere messo in discussione dal Ministero, quanto alla riconducibilità del contagio alla trasfusione o alle trasfusioni individuate come causative di esso, ed il giudice deve ritenere detto fatto indiscutibile e non bisognoso di prova, in quanto, essendo la Commissione organo dello Stato, l’accertamento è da ritenere imputabile allo stesso Ministero.”
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